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mercoledì 19 ottobre 2011

Manfredonia: Il castello scrigno della Civiltà Dauna, nelle giornate Europee del Patrimonio

L’Italia ha aderito, insieme ad altri 49 Stati Europei, alle Giornate Europee del Patrimonio 2011, che hanno avuto luogo nel nostro Paese il 24 e il 25 settembre, così pure il Castello di Manfredonia, adibito a Museo, ha aperto liberamente l’ingresso all’evento “titolato”: “L’Italia tesoro d’Europa”.
Domenica 25 alle ore 11.00 si è svolta la visita, guidata dalla dott.ssa Ginevra D’Onofrio, che tra l’altro sottolineando l’importanza della luce radente per evidenziare i segni sulle stele, ne ha delineato gli aspetti storici ed archeologici.
Le stele istoriate ci permettono di conoscere la civiltà dauna ( VI , VII sec. a.c.), popolo di origine indeuropea, proveniente dall’Illiria, e stabilitasi in una zona, che si estendeva dal Fortore all’Ofanto.
Ed è così che dalle località Cupola e Beccarini, prossime a Siponto, son venute alla luce le “stele”, manufatti di un lontano passato.

Le stele erano segnacoli tombali? Lapidi che indicavano la presenza di un defunto? In realtà le stele non sono state rinvenute nei contesti originari, da ciò la difficoltà di avere prove certe su tali ipotesi.
Altre ipotesi sul significato delle stele è che possano rappresentare simbolicamente un personaggio di rango elevato di una comunità, che così lo celebrava, collocando la stele in “aree sacre”.

Come si presentano le stele? La stele è una lastra di pietra chiara, calcarea “pietra locale”, tenera e quindi facilmente lavorabile dagli antichi dauni, alcuni dei quali erano degli abili artigiani, capaci di intagliare la pietra, caratterizzandola con decorazioni sullo spessore e lateralmente, eccezion fatta per la parte basale, che poggiava sulla terra.
Le teste delle stele, soprattutto in epoca tarda, erano rappresentate schematicamente , coperte probabilmente da un copricapo, cappuccio, sostanzialmente prive di caratteri somatici, per questo vengono chiamate “aniconiche”, distinguendole da quelle “iconiche”, ove sono evidenziate le parti anatomiche degli occhi, della bocca, del naso, ed addirittura, in taluni casi, delle sopraciglia.
La parte più corposa della stele, si distingue per alcuni elementi decorativi e geometrici; i dauni non sapevano scrivere, però attraverso i loro disegni su pietra, ci parlano della loro storia.

Pure per questo in occasione dell’unità d’Italia, queste “pagine di pietra” son state esposte alla camera dei deputai, a Montecitorio (Roma), nel periodo più celebrativo dell’unità nazionale, ossia a marzo 2011.
Questo ha stimolato l’interesse dei presenti, che avvicinandosi ai reperti, si sono accostati, in un certo senso, alla nostra identità, “ è con le radici salde nel passato, che possiamo costruire un futuro migliore, solido e duraturo”.

Cosa vogliono esprimerci queste pagine litiche? Gli addetti ai lavori, le hanno interpretate, come raffigurazioni di momenti celebrativi del personaggio decorato; il “nostro antenato” al collo poteva avere una collana, arricchita con dei pendagli; presenti potevano essere elementi come fibule (spille), nastri… non necessariamente indicanti il genere femminile (connotato per lo più dalla treccia), potendo trattarsi di una figura in abito talare; i personaggi di rango, in alcune circostanze potevano indossare suppellettili simili a quelli femminili.
Ricorrenti nelle stele sono le braccia, spesso giustapposte, a volte lisce, specie nelle stele con armi.

A volte segnate e coperte: da guanti? Da tatuaggi? Non lo sappiamo con certezza. Sicuramente è la cintura, quando presente, a dividere in due le illustrazioni sulla stele. Importante è, dunque, l’aspetto figurativo, ogni scena ci racconta qualcosa, “storie di vita”, come ad esempio: di agricoltura, di caccia, di pesca, di guerra, di leggenda (infatti, sono presenti, figure fantastiche e mitologiche, ricordiamo il riscatto di Ettore di Omero, così interpretava una stele l’insigne archeologo Silvio Ferri, valorizzatore di tali manufatti).
Ci vorrebbero “papiri” per raccontare delle 1649 stele pervenuteci più o meno integre.
Comunque da un punto di vista schematico ricordano una “sagoma umana”, che poteva essere, ad esempio, una figura guerresca, con spalle dritte ( a differenza di quelle rialzate in cui figurano ornamenti), e connotata da armenti quali spade, pugnale, “kardiophylax” ( pettorale a protezione del cuore) , ed a tergo lo scudo.

La figura del guerriero doveva essere, probabilmente, assai importante nella casta della civiltà dauna.
Il rinvenimento di tali reperti nella zona di Capitanata spaziano dalle località di Siponto (zone prima citate Cupola e Beccarini), alla vicina Mattinata (in località monte Saraceno e Tor di Lupo), alla poco più distante Arpi (nei pressi di Foggia), ciascuna caratterizzata da peculiarità che le distinguono.
Anche i colori delle stele erano particolari per lo più rosse e nere, a volte ricoperti d’ ocra, comunque dipinti con pigmenti d’origine naturale es.: estratti da petali di alcuni fiori, da molluschi come il murice, oppure di origine minerale come la bauxite. Sicuramente i colori sulle stele col tempo si sono spenti, ma non la curiosità sia dei cittadini, che dei visitatori stranieri, che conquistati da cotanta civiltà, sono stati ascoltatori attenti, in questa giornata al castello, che come uno scrigno, contiene il tesoro più grande “la nostra antica identità”.
 Da sipontini diveniamo manfredoniani, pure a causa, nel XII sec., dell’impaludamento di Siponto e del attiguo e strategico porto, che si interra, pure a seguito di eventi tellurici.
Nascerà per questo, in direzione Nord da Siponto, verso Monte Sant’Angelo, in terre più salubri e solide, la città di Manfredonia. La “Novella Siponto”, vedrà posta la prima pietra ed il 23 aprile 1256, giorno di San Giorgio; convocando il Parlamento di Puglia a Barletta, Manfredi ottenne di costruire Manfredonia a spese dell'erario reale e della sua cassa privata.

Nel 1263 venne consegnato il Datum Orte, ossia l'atto notarile col quale la città di Manfredonia veniva ufficialmente riconosciuta.
Il Castello, come struttura architettonica, nasce nel pensiero di Manfredi, che probabilmente iniziò i lavori, poi continuati dagli angioini…col tempo subisce numerosi rimaneggiamenti, dal piazzale d’armi “cuore più antico della fortezza” inizia la costruzione della prima torre, quella di “Santa Barbara” altrimenti detta della “Cisterna”, per via di una cisterna sottostante tale torre magna, dirimpettaia dell’unica torre quadrata detta di vedetta.
Le successive torri saranno adattate a forma circolare, per meglio attutire i colpi “di fuoco” dell’artiglieria nemica, pure per questo gli aragonesi abbracciarono il primevo nucleo fortificato, in una nuova cinta muraria, rinforzata con terrapieno e da bastioni anch’essi circolari. I
n seguito si costruirà il bastione pentagonale, detto dell’avanzata, finalizzato all’appoggio di macchine da guerra (tale bastione e conosciuto pure col nome dell’annunziata, per via di un bassorilievo ivi allocato, che rappresenta l’annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria).

Il castello dopo secoli di storia giunge a noi in buone condizioni grazie a lavori di ristrutturazione e manutenzione, ancora in atto per adeguarlo a norme di sicurezza standard.
Ora è la sala intitolata all’indimenticabile Marina Mazzei, a custodire le tante stele originali, cui si uniscono altre di recente fattura artigianale (le uniche che si possono toccare), sì da permettere esperienze sensoriali “tattili”, rendendo fruibile tali beni soprattutto agli ipovedenti, per i quali c’è anche una tabella in braille; significativo è pure l’allestimento degli spazi nel torrione di “San Michele”, ove, oltre la ricostruzione scenica delle stele, così come sono state ritrovate, presenta postazioni multimediali con monitor touch screen consultabili dai visitatori, per approfondire la conoscenza di beni archeologici, veramente unici.

La scoperta del castello si è conclusa dopo la visita delle ore 18.00 con visita ai luoghi misteriosi delle segrete del Castello.
Il sotterraneo della torre di “Vedetta” collegato al bastione detto della “Segreta”, era l’uscita di sicurezza, che in caso di necessità poteva essere considerata intraprendendo la via del mare.
Ed un mare di tante altre cose si potrebbero narrare, per la conoscenza di un castello davvero eccezionale, infatti se è pur vero che l’Italia è il tesoro d’Europa, il Castello di Manfredonia è lo scrigno della Civiltà Dauna, pure per questo merita di essere rivisitato per conoscerlo sempre meglio. 
Benedetto Monaco

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